"Polemos pater panton esti" - la guerra (o il conflitto) è il padre di tutte le cose - così recita uno dei più noti frammenti di Eraclito.
Se pensiamo alla politica di questi tempi facciamo fatica a dare ragione a Eraclito. Non si vedono troppe cose buone nascere dai conflitti onnipresenti tra i rappresentanti del popolo.
Com'è, invece, la situazione nelle nostre aziende? Quanti imprenditori e dirigenti direbbero che nella loro impresa i conflitti sono il motore per innovazione ed eccellenza?
In questo breve articolo vorrei spiegare perché in una logica sistemica Eraclito abbia ragione, perché le aziende farebbero bene a creare delle "arene" dove le persone possano dare sfogo ai conflitti e quali regole possono favorire conflitti creativi e non distruttivi.
Generalmente si tende a vedere il conflitto come il contrario dell'armonia. L'armonia unisce mentre il conflitto divide. Ma Eraclito ci dice che la lotta che si sviluppa tra posizioni opposte in superficie è necessaria per sviluppare armonia in profondità.
Lo vediamo anche nel conflitto che l'adolescente innesca con i genitori, che è il presupposto per trovare da adulto un'armonia con il mondo.
In una logica sistemica puntiamo la nostra attenzione sulla dinamica delle relazioni tra soggetti con posizioni o interessi diversi per comprendere quando percepiscono il loro rapporto come conflittuale attivando reazioni distruttive e quando lo vivono com
e armonioso e si comportano in maniera cooperativa.
L'interazione tra persone è guidata principalmente dalla comunicazione con la quale cercano di coordinare le loro azioni ed emozioni. Come sappiamo, la comunicazione è un processo dall'esito incerto ed è sempre il ricevente ad attribuire senso e significato al messaggio che ascolta.
Dunque la probabilità che la risposta del destinatario non coincida con le aspettative del mittente è piuttosto elevata. Ed attese non soddisfatte producono irritazione, il seme del conflitto. Dobbiamo dunque accettare che il conflitto è un ingrediente naturale della comunicazione.
Analizziamo adesso le varie fasi del processo di sviluppo di un conflitto. Mettiamo che una persona sia mossa da un'intenzione che richiede la collaborazione di altre persone ed esprime una proposta o una richiesta.
Mettiamo che i destinatari del messaggio non comprendano o non condividano la proposta. Ciò provocherà inevitabilmente un'irritazione del nostro attore che in linea di principio può scegliere tra due reazioni: rinunciare alla sua intenzione oppure insistere per superare (in maniera più o meno aggressiva) le incomprensioni e le resistenze.
Quand'è che l'interazione tra il nostro attore e i suoi interlocutori viene percepita come conflittuale? Quando almeno una delle parti sente una forte paura di essere sopraffatto. Viene dunque a mancare la fiducia che si possa lottare in maniera corretta per raggiungere un accordo soddisfacente per tutti.
L’emozione della paura svolge una funzione vitale e attiva reazioni primordial
i di aggressione, paralisi o fuga. Purtroppo, nessuna di queste favorisce la collaborazione e inoltre, la paura ha l'effetto micidiale di inibire la riflessione.
Quando il comportamento è guidato dalla paura il rischio è forte che si inneschi una escalation come descritta da Friedrich Glasl: irrigidimento > polarizzazione > fatti compiuti > alleanze > denigrazione > minacce > danneggiamento > distruzione.
Per gestire un conflitto è dunque necessario gestire le paure, soprattutto quelle proprie, e poi quelle altrui e di dosare il livello di aggressione in modo da ristabilire di volta in volta la fiducia di poter arrivare a una buona soluzione per tutti.
Uno dei metodi più comuni per gestire la paura è l’organizzazione gerarchica che stabilisce a priori chi domina e chi si deve sottomettere. In questo modo chi detie
ne il potere formale può aspettarsi che la sua posizione, sia essa conservativa o innovativa, possa prevalere senza troppi problemi. La soluzione gerarchica ha però un prezzo elevato, ne va di mezzo l'autonomia e la responsabilità dei collaboratori.
L'ipotesi sottostante all’organizzazione gerarchica è che i meccanismi di selezione portino le persone più competenti ai livelli più alti e che questi riescano a disporre di tutte le informazioni necessarie per prendere buone decisioni. Ma ultimamente i mercati e l’ambiente hanno raggiunto un grado di complessità e volatilità che non permettere più alle aziende di rinunciare a
l sapere collettivo di tutti i dipendenti, anche di quelli con funzioni operative.
Il nuovo può nascere soltanto se una configurazione consolidata viene perturbata a tal punto che la sua struttura cede e si trasforma. Ma i tutori dello status quo non cederanno senza opporvi resistenza. Per mettere in discussione le regole, le strategie, la cultura di un'organizzazione ci vuole dunque una motivazione forte e convinta e anche una buona dose di coraggio.
Un’organizzazione che voglia mettere a frutto la diversità delle posizioni per favorire l’innovazione dovrà creare dei momenti, degli spazi e delle regole dove i collaboratori (a tutti livelli gerarchici) si possano sentire sicuri e protetti al punto da poter lottare senza paura per le loro idee e convenzioni. Da quella lotta può emergere l'armonia profonda della quale parla Eraclito.
Per facilitare una lotta civile delle idee e convinzioni possiamo utilizzare strumenti di comunicazione moderni come le Management Constellations. Questi strumenti permettono di superare i limiti del linguaggio verbale. Grazie ad essi è più facile capirsi ed è anche più facile sviluppare dei collegamenti tra idee diverse, far emergere il nuovo, simulare gli effetti di una proposta e comprendere se produce gli effetti desiderati o meno.
Siamo convinti che una delle funzioni più importanti del leader moderno sia quella di predisporre “arene” adeguate alla lotta delle idee e di fungere da regista dei processi di comunicazione, anche, o soprattutto quando sono conflittuali.
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